LA PAURA MANGIA L’ANIMA

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LA PAURA MANGIA L’ANIMA

LA PAURA MANGIA L’ANIMA

LA PAURA MANGIA L’ANIMA

 di Rainer Werner Fassbinder

 

coproduzione Laboratori Permanenti e Theater Rotwelsch

con Caterina Casini, Wael Habib, Mauro Silvestrini e gli allievi della scuola di teatro dei teatri ospitanti e cittadini interessati

assistente alla regia Mauro Silvestrini

traduzione e regia di Alberto Fortuzzi

In accordo con Arcadia & Ricono Srl
per gentile concessione di Verlag der Autoren GmbH & Co KG

 

Dal 2021 Laboratori Permanenti in collaborazione con Theater Rotwelsch di Stoccarda, lavora al progetto La paura mangia l’anima di Rainer Werner Fassbinder, elaborazione teatrale dal film “AngstessenSeeleauf” (1973) e lo presenta per la prima volta nei teatri italiani.

La traduzione e la regia sono affidate ad Alberto Fortuzzi, gli interpreti principali sono Caterina Casini, Wael Habib; il resto del cast è costruito con attori del territorio, allievi della scuola dei teatri ospitanti e dai cittadini interessati dei luoghi di volta in volta coinvolti.

Il progetto è stato in residenza a Sansepolcro (Ar) a maggio e agosto 2021, a Officine Caos di Torino a luglio 2021, con Diesis Teatrango presso il Teatro Comunale di Bucine (Ar) settembre/ottobre 2021 e con SettimoCielo presso il Teatro La Fenice di Arsoli (Rm) ottobre 2021.

A luglio 2022 La paura mangia l’anima è stato ospite al Festival Internazionale di Teatro ANFASSE di Marrakech.

Si tratta di un progetto site-specific aperto e malleabile, adattabile allo spazio che lo ospita e che si sviluppa in stretta relazione e interazione con l’ambiente che lo circonda. Infatti, il progetto è aperto alle comunità che incontra: la composizione del Coro viene ogni volta costruita con le persone vicine al teatro ospitante, affinché le persone vivano la vicenda insieme ai protagonisti.

Si tratta, quindi, di un’importante momento che unisce teatro e socialità, un fare teatro che s’innesta in una comunità e che cerca, attraverso il linguaggio della scena, di ricreare un collante comunitario che nel contesto storico e culturale che stiamo vivendo è andato perduto.

Mettere in scena La paura mangia l’anima sensibilizza la comunità partecipante su tematiche importanti quali il razzismo e l’esclusione. I cittadini che desidereranno partecipare come interpreti si immergeranno nella realtà narrata, ne diverranno maggiormente consapevoli e la offriranno alla loro stessa comunità.

“La paura mangia l’anima” (o, letteralmente, “Paura mangiare tutta anima”) è intesa come una tragedia: due protagonisti e un coro, recitazione scarna, realistica, la lezione di Brecht irrinunciabile.

Fassbinder scrive “La paura mangia l’anima” subito dopo l’attentato alla rappresentanza israeliana da parte del gruppo terrorista palestinese Settembre nero durante le Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972.

Il valore dell’intuizione del regista tedesco non risiede solo nell’aver smascherato l’ipocrisia tedesca di quel tempo, ma nell’aver saputo raccontare come sia nato quello che possiamo oggi definire post-razzismo.

Il post-razzismo, non solo tedesco ma europeo, fenomeno sociale purtroppo ancora attuale, trova le proprie ragioni in luoghi sociali ben definiti, semplici bar o – come ci mostra Fassbinder – su una rampa di scale dove un gruppo di donne delle pulizie, nei pochi minuti di pausa loro concessi, accusa tramite stereotipi e luoghi comuni ciò che considerano diverso, elevandolo a causa – ed effetto – della loro condizione precaria.

Ma nel tempo del coronavirus un altro tema di eccezionale attualità fa capolino tra le righe del testo, ed è il tema della distanza – distanziamento sociale, si direbbe oggi. Ali ed Emmi, lui extracomunitario, lei donna non più giovane e comunque molto più anziana di lui, sono due persone che, secondo una legge sociale non scritta ma “sacrosanta”, dovrebbero tenersi a distanza. Invece i due si incontrano, si cercano, si amano, si sposano addirittura, annullando – contro tutti i tabù – la distanza che la società vorrebbe imporre loro.

La società, i bravi cittadini, non rimangono a guardare, reagiscono. E lo fanno con la distanza, unica difesa immunitaria per la sola società che sembra loro possibile: una società impaurita, incapace di accettare i diversi. Li giudicano, li evitano, fanno di tutto per espellere questi due esseri umani così diversi, virus refrattari alla normalità, mettendo in atto una difesa immunitaria così forte che potrebbe causare la morte stessa della società “democratica”, che sembrano voler difendere. Il trauma del diverso viene superato solo nel momento in cui la convenienza “prende il posto del ribrezzo”, come dice uno dei personaggi.

Riproponiamo la sceneggiatura di “La paura mangia l’anima” come testo teatrale più che mai attuale, monito – come il film – a una società deviata dalla paura, società nella quale – come dice il titolo – la paura si nutre dell’anima stessa fino a divorarla.

 

 

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